14/07/2014

Mauro Loy - Aggregazione e politiche di brand per crescere all'estero

Mauro Loy, Marketing manager Methos e patron dell’evento esordisce affermando che questo è il secondo anno che Big&Small Flash approda in Umbria: dopo l’indagine svolta lo scorso anno sulla comunicazione e la vendita online delle PMI agroalimentari locali, oggi riapriamo il dibattito sui fabbisogni delle imprese cercando di offrire degli strumenti utili per lo sviluppo. 

Loy entra subito nel merito del discorso e parla del cambiamento del modello dei consumi: “dal 2007 a oggi è cambiato moltissimo. Tutto è iniziato con l’eliminazione degli sprechi. Mediamente una persona buttava nella spazzatura una spesa del valore di 247 euro. Poi siamo passati dalla spesa di scorta a una più quotidiana, sempre con l’obiettivo di tenere di tenere sotto controllo gli acquisti. Da qui si arriva al fenomeno della prossimità, alla crisi degli ipermercati a favore di negozi a un misura d’uomo, frequentazione della distribuzione lungo la settimana e diminuzione dello scontrino medio . Dunque, grande attenzione al prezzo ma diversamente a quanto accadde nel 1993 - con la nascita del discount e delle formule legate solo al prezzo e non alla qualità - stavolta siamo in presenza di un consumatore che dà per scontato che il prezzo sia basso e che oltre a questo ci sia anche qualità nel prodotto.

Cosa dire della filiera agroalimentare? - Si domanda Loy - Sia per agricoltura che per l’industria siamo in presenza di una forte polverizzazione. Questo comporta dei seri problemi perche le grandi imprese generalmente riescono ad ottenere credito ad andare all’estero e su nuovi mercati, mentre i piccoli subiscono una serie di problematiche. Situazione analoga anche per la distribuzione italiana, che è piccola rispetto ad altri distributori europei, ed è quindi incapace di aiutare le nostre imprese e i nostri prodotti. Basti pensare che in Italia la quota dei primi tre distributori, che sono Coop, Conad e Esselunga, rappresentano il 35% del totale; in Gran Bretagna, Germania e Francia la stessa quota supera il 60%. I tre paesi viaggiano sugli stessi livelli e ciò permette a strutture come Carrefour, Tesco, Reve - anche se è uscita definitivamente dall’Italia - di poter aggredire i mercati e portare avanti i prodotti. In Cina gli scaffali di Carrefour sono pieni di formaggi francesi.

Loy prosegue l’analisi sulla filiera, prendendo in esame il settore dell’ortofrutta: “purtroppo, i mesi di aprile e maggio hanno visto una deflazione che ha raggiunto anche il 20%. A parità di quintalaggio venduto, il prezzo è sceso notevolmente pur essendo rimasti invariati i costi che un’impresa di distribuzione si trova ad afforntare, soprattutto quello riferito al personale che ha la massima incidenza.  Oggi bisogna dare valore aggiunto alle produzione.  Questo è possibile con la IV e V gamma, ma anche con la riconoscibilità del brand, che da valore a tutta la filiera.

Il sistema agroalimentare italiano ha bisogno di nuove forme di aggregazione, soprattutto dedicate alle piccole e medie imprese che altrimenti da sole non potrebbero avere una nuova competitività. Per parafrasare una persona che comunque ha portato fuori il made in Italy, Farinetti di Eataly, solo lo 0,34% del mercato è italiano. Il resto è nel mondo. Ma come possiamo andarci? Abbiamo un esempio d’eccellenza: le mele del Trentino. Pure chi ha un solo ettaro di produzione è riuscito a trovare spazi commerciali nuovi grazie ad  una politica di sviluppo e di brand collettiva. Oggi il 70% della produzione di mele della val di non è assorbita da Wal Mart - primo distributore mondiale-.

Si parla di Innovazione: qui la rete di imprese ha favorito lo scavo di una grotta all’interno della montagna in grado di mantenere naturalmente la produzione e, con una seggiovia, le mele vengono portate a valle. Insomma oggi c’è un grandissimo bisogno di rapporti intrafiliera: questo vuol dire che la distribuzione e la produzione non devono e non possono continuare l’eterna lotta per arrivare al 100% di valore sul prodotto. Al contrario, bisogna favorire accordi diretti, programmazione e diminuzione dei costi al di là dei discorsi sul km0 zero, perche è su questi fattori che si crea valore.

Abbiamo diversi esempi, come in Sicilia per le uve da tavola, dove la grande distribuzione è entrata in collaborazione con cooperative già fallite, assicurandone la rinascita grazie all’assorbimento del prodotto. Tutto questo non deve essere visto come la “private label” perche molto spesso abbiamo aziende leader di distribuzione italiane che hanno iniziato un rapporto sulla private label e poi sono state strangolate perche i prezzi aumentavano e non erano più sostenibili. Anche la distribuzione sta cercando un grande rafforzamento della riconoscibilità del brand, perche sarebbe una perdita di valore sul prodotto, che non è più basato sul rapporto prezzo-qualità

Oggi c’è bisogno di una politica per aiutare le pmi a trovare nuovi mercati e risolvere problematiche verso l’estero che sono logistica e etichettatura dei prodotti. Il made in italy ha in questo momento una grande riconoscibilità e richiesta all’estero. Pensate che i primi 3 prodotti cliccati nel mondo sono Coca Cola, Visa, Made in italy. La proposta lanciata da Methos per favorire la crescita delle PMI agroalimentari italiane nei mercati esteri  è l’iniziativa “Unicaitalia”.  

Unicaitalia non è un selezionatore, ma un sistema unico che vuole dare voce a tute le unicità italiane. Stiamo parlando di un sistema univoco che di fatto è un ponte tra domanda e offerta dei prodotti agroalimentari italiani; di un’arena multilingue e digitale in cui parlare della eccellenze italiane realizzando anche accordi interfiliera: di definire reti di aggregazione in cui condividere politiche di sviluppo e promozione pur garantendo il mantenimento delle singole identità; di un motore in grado attirare l’attenzione degli operatori commerciali in nazionali ed esteri grazie a contatti ed azioni dirette.

 

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