10/07/2014

Andrea Marchini - Riflessioni sul sistema agroalimentare italiano

Andrea Marchini, Professore di marketing agroalimentare presso l'Università degli Studi di Perugia, fa una riflessione pratica sul sistema agroalimentare italiano e i fabbisogni delle imprese durante il convegno Big&Small Flash a Deruta. "L’attuale sistema agroalimentare è dominato da 4 fenomeni rilevanti che stanno determinando cambi importanti - afferma il Prof. Marchini - : il primo è la fuga dalle commodities, cioè si sempre di più va verso il consumatore, chi ha contatto col consumatore ha potere di mercato, la voglia e necessità di giungere al consumatore è rilevante; il secondo fenomeno è la riduzione del protezionismo, ovvero c’è uno scambio che ha avuto forse una piccola battuta d’arresto con la crisi, ma merci e fornitori giungono da ogni parte del mondo innescando competizioni molto forti: ma su questo fronte qualcosa è cambiato e sta subentrando un protezionismo strisciante con etichettature degli alimenti che sono sempre più complesse e che cambiano a secondo delle aree geografiche, sottoponendo le imprese a barriere sempre più forti. Il terzo fenomeno è la riduzione della spesa agroalimentare: spendiamo meno, non solo quantitativamente ma anche qualitativamente e questo determina che se la percentuale scende sotto il 20% del consumo procapite si innesca un cambio per cui l’individualizzazione dei consumi porta alla formazione di nicchie e segmenti che sono tutte da esplorare. L’esempio di yogurt calza alla perfezione, se pensiamo alle decine e decine di yogurt diversi presenti in ogni punto vendita. Questo dimostra che non bisogna essere grandi per fare business, non è un vincolo per ottenere produzioni di scala.

Sono quattro i percorsi fondamentali: qualità sempre più elevata, controllo dei costi, desiderio di nuovi prodotti insieme all’esigenza mangiare sano e bene, e infine controllo dell’informazione a tutti i livelli. Questi quattro elementi hanno un’influenza notevole sul modo con cui costruiamo valore, che viene misurato con il rapporto tra benefici e costi. O incrementiamo i benefici o riduciamo i costi: i due fattori comunque viaggiano in senso opposto, ed è in questo rapporto che ci muoviamo. Il rapporto con l’informazione è dinamico, negli ultimi tre anni è cambiato ed è essenzialmente percettivo, cioè si può produrre A e comunicare B, e questo è da un lato negativo ma dall’altro è anche una leva per tenere sotto osservazione la percezione. I percorsi di sviluppo delle microaziende si riducono a tre: o si abbassano i prezzi per essere competitivi, o ci si dedica alla private label, ovvero produrre qualcosa per qualcun altro, che in genere è la grande distribuzione. Questo fatto è da prendere con le molle perché può avere effetti non da poco, oppure si può pensare a costruirsi un proprio marchio che abbia un buon posizionamento nel mercato. Posizionare il proprio prodotto significa adottare una strategia di marketing, il che non vuol dire saperlo vendere ma significa modificare e costruire valore, portare la clientela verso una percezione alta del prodotto, ma l’importante è portarla verso una rapporto di tipo leale, con un riconoscimento dei benefici da parte del cliente: questo si chiama capitalizzazione del rapporto con il cliente. E anche se il prezzo è più alto, esiste un equo riconoscimento che permette di resistere ai grandi e di stabilizzare il potere di mercato. In tutto questo bisogna cambiare mentalità, non orientarsi solo verso il prodotto ma fare politica di marketing, cioè sostituire all’imprenditore locale un messaggero del prodotto attraverso cui potrà essere venduto anche al di fuori dell’Umbria. E questo si fa con due leve fondamentali: innovazione e comunicazione, ovvero percezione e controllo. Ma abbiamo veramente bisogno di innovare? La risposta è , anzi è il minimo, perché il sistema Italia innova poco, siamo poco sotto l’Estonia o la Slovenia, in Italia ora c’è un calo della capacità innovativa che la caratterizzava in passato e che ora è in fase stagnante. Siamo moderati innovatori, c’è molto da lavorare. Inoltre emergono difetti cronici del tutto italiani: abbiamo un sistema di ricerca nazionale e universitario che dialoga molto a livello internazionale ma che è isolato dal mondo della produzione. È vero che le cose stanno migliorando ma resistono alcune cose tipicamente italiane, come non fare iniziative comuni, non collaborare tra imprese ma considerarle solo come competitors, al contrario del Nord Europa dove la collaborazione è migliore. Le piccole e medie imprese riescono a migliorare grazie alla manodopera, alle loro conoscenza, al loro know how, e questa è risorsa tutta italiana che viene fatta a rescindere dal livello scientifico. In Umbria è difficile quantificare il peso delle imprese agroalimentari perché abbiamo diversi settori che si sovrappongono tra loro. L’industria vera e propria sta calando ma  crescono agricoltura e le attività di trasformazione alimentare legate alle attività agricole  delle microimprese che si occupano all’interno delle filiere alimentari. E si sa, senza una distinzione precisa di questi marchi si avrebbero dei risultati modesti. 

 

Scarica la Presentazione 

 

 

 

  • Invia a un amico
  • Stampa