novembre 2010

Big&Small III edizione: la relazione di Mauro Loy

Oggi Big&Small è un appuntamento dove poter discutere di commercio e di filiera con un respiro nazionale e uno sguardo sempre attento a ciò che avviene a livello internazionale. Siamo consapevoli di dover fare ancora molta strada, ma siamo fieri del riscontro ottenuto nelle edizioni precedenti, confermato oggi sia dall’adesione di relatori importanti che della qualificata platea, sempre attenta alle questioni del settore. 
Voi, relatori e platea, rappresentate per noi un grande stimolo che ci spinge a continuare un percorso iniziato tre anni fa e che ha l’obiettivo di far diventare Big&Small un appuntamento classico di arricchimento per tutto il commercio, attraverso la ricerca e l’individuazione di vie nuove e innovative.

Forme del commercio e filiera agroalimentare: saranno questi i due temi centrali del convegno ‐ ovviamente un approfondimento specifico lo dedicheremo allo sviluppo nelle grandi città dei nuovi format. Il collegamento fra commercio, urbanistica e vivibilità è sempre più attuale e necessario.
Nel primo workshop di domani mattina invece si analizzerà il fenomeno del tipico nella grande distribuzione e nelle formule di vendita diretta e organizzata (come i farmer’s market e i mercati rionali). Nel secondo workshop ci concentreremo su una formula ormai consolidata come il discount.

Si tratta di elementi di riflessione collettiva su temi a noi cari, per dibattere e ricercare le possibili soluzioni in linea con l’attuale situazione economica e le nuove esigenze del consumatore. È per questo che stiamo già pensando all’edizione 2011, edizione che vogliamo continui a evolversi ricercando maggiori momenti di incontro‐confronto ‐ di informazione attraverso newsletter, notizie, valutazioni e pubblicazioni mensili che andranno a tracciare la strada verso la IV edizione di Big&Small prevista per il 9/10 novembre del prossimo anno.
Ma torniamo a oggi e a questa edizione (scarica nella sezione Materiali le slide della relazione di Mauro Loy Il nuovo commercio: lo sviluppo nelle grandi città).

Vorrei raccontarvi adesso un episodio recente e che solo apparentemente potrebbe sembrare fuori tema. È una riflessione che nasce dalle mie passioni per l’arte, la storia e l’antiquariato che successivamente si sono incontrate e amalgamate con le tematiche della terra e della produzione.
Qualche giorno fa ho letto l’editoriale dell’ultimo numero della rivista “Antiquariato” e ho sorriso compiaciuto. Ho verificato così come questa mia passione si intrecci concretamente con il lavoro che svolgo creando una forma, diciamo artistica, di distribuzione! Un nuovo modo di vendere esaltandone ai massimi livelli la particolarità o una provocazione su una ricerca forsennata di nuove forme di esaltazione della vendita? La notizia riportata, si riferiva ad un’asta “The art of farming” svoltasi a New York lo scorso settembre. In pochi minuti erano stati battuti ortaggi, verdure e frutta ‐ coltivati da piccole aziende che si contraddistinguono per la difesa di prodotti bio e local, esclusi dalla grande distribuzione. L’editoriale contrapponeva “le teste composte” di Arcimboldo, i cibi plasticosi di Oldenburg con frutta e verdura non più impressi su una tela come simbolo di prosperità e buon auspicio, ma loro stesse opere d’arte. Vorrei leggervi le ultime righe dell’editoriale: “Siamo alla frutta? Direi di no. In fondo quando si parla di qualità non c’è differenza tra un’opera d’arte e una della natura; così come si investe in quadri o mobili di valore allo stesso modo bisognerebbe puntare sui prodotti della terra".

Ecco questo ci fa capire come sia importante, in un mondo che tende all’illusione della crescita smisurata e del progresso a tutti i costi, riuscire a diversificarsi puntando su PARTICOLARITÀ quali la qualità e la tipicità dei prodotti, dando una specifica identità all’offerta che la rende attraente. Un ritorno alla terra, quindi, che si pone come una giusta alternativa per valorizzare i prodotti e innovare il sistema. 
Tutto questo appartiene ad una nicchia di mercato... ma quali sono le sue dimensioni? È un buco nel mercato o un mercato nel buco? 
Lʹofferta si è di fatto omologata per la necessità di fare volumi e il consumatore è sempre più alla ricerca di prodotti altamente personalizzabili ma allo stesso tempo funzionali alle sue esigenze. Ci si sta orientando verso una tipicizzazione che non riguarda solo i prodotti ma anche formati e sistemi di vendita, i quali devono essere in grado di interpretare il cambiamento in tempi di crisi.

Ma siamo usciti, stiamo uscendo o siamo ancora dentro la crisi? Una confusione che crea incertezza.
Le prospettive per la crescita del pil, questʹanno e il prossimo, non si discostano di molto dallʹ1%. Lo ha detto il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, secondo cui allo sviluppo economico serve il contributo della domanda interna. I diversi rapporti comunque mostrano interpretazioni discordanti dei vari indicatori in merito alla situazione attuale. Lo scenario economico italiano è caratterizzato da timidi segnali di una ripresa che si preannuncia ancora fragile e lenta. L’indebitamento, infatti, rappresenta una peculiarità della fase storica attuale che va a influenzare lo sviluppo futuro, aumentando l’incertezza sia per le famiglie che per i consumi. L’Italia rispetto agli altri paesi europei registra una maggiore contrazione dei consumi in particolare nei settori dell’abbigliamento, dell’elettronica e dell’alimentare.

La crisi ha evidenziato un diverso atteggiamento da parte del consumatore che oggi pone maggiore attenzione al momento dell’acquisto. I dati ci confermano che abbiamo un consumatore consapevole, che sente diminuita la capacità di spesa, ma è ugualmente conscio che il sacrificio maggiore non debba farlo lui ma il fornitore. Un sacrificio che va tradotto in termini di sconto e di miglioramento delle performance di filiera. Per dirla in tre parole produttività, logistica e ricerca. Vi è quindi un approccio più razionale nella scelta dei prodotti e dei format di vendita.

Se fino allo scorso anno il contenimento degli sprechi è stato ottenuto a discapito della quantità ma non della qualità, da quest’anno per la prima volta si registra una diminuzione di entrambe le variabili. È un chiaro segnale dell’avanzamento della crisi o è un altro aspetto che sottolinea il perdurare psicologico della crisi?

Il calo dei consumi sul versante della qualità non ha impedito al segmento del luxury di mantenere le posizioni. La griffe infatti acquisisce sempre più una funzione evocativa di status symbol. Il consumatore, attraverso questa, mostra agli altri la sua condizione sociale, omologata alla vigente idea di successo. Il ritorno del vintàge è un altro segno evidente di questa tendenza e abbraccia anche oggetti, design, musica e stail life. Alla portata di tutti, un vero e proprio status symbol. Un lussuosissimo low cost.

La ripresa dei consumi può essere sostenuta solo da un clima di ottimismo e di fiducia verso il futuro. In questo contesto, la pubblicità ha seguito la crisi nel linguaggio e nei contenuti rappresentando il passato che risulta rassicurante: lo conosciamo, lo amiamo, lo percepiamo come protettivo
La storia delle imprese costituisce uno strumento di comunicazione. In questo periodo di crisi, che è anche crisi di fiducia, esibire una realtà longeva diventa 
una garanzia di solidità che rassicura il consumatore. In questo senso, molti sono gli spot che utilizzano il passato per evocare ricordi e riflettere sul presente.

Entriamo ora ad analizzare i vari sistemi di vendita partendo dai Centri Commerciali e gli Ipermercati, che si confermano in crisi come già preannunciato nel 2008. Oltre ad essere gravati da costi di gestione molto alti, si dimostrano sempre meno adeguati alle esigenze del consumatore. Ma non si può parlare di una crisi totale del sistema in quanto alcuni centri presentano un andamento positivo. Questo è da ricondurre principalmente ad una rendita di posizione, oltre che a un’idea di convenienza che permane in alcuni consumatori. Idea rafforzata da una corretta commercializzazione degli spazi con la presenza di diverse ancore, che non fanno più riferimento solo all’alimentare ma anche a settori come l’abbigliamento e l’elettronica, soprattutto su quest’ultimo settore non trovando riscontro d’offerta di prossimità.
Da un punto di vista urbanistico il divario temporale fra l’ideazione e la costruzione di molti centri commerciali ha determinato un’offerta inadeguata. La causa va ricercata anche nel posizionamento forzato, senza una valida analisi di localizzazione, che avrebbe garantito invece la presenza del format nel tempo sul territorio. È chiaro quindi che la programmazione di tali strutture di vendita, dovrebbe esse supportata da strumenti che consentano una corretta comprensione, monitoraggio e governabilità del fenomeno, valutando gli effetti ambientali, economici e sociali che queste strutture comportano.  
Bisogna tradurre le politiche in opere ragionate che possano essere attraenti esteticamente ‐ attrattive, funzionali e inserite in un panorama di trasformazioni territoriali strategiche per l’effettivo sviluppo economico e territoriale. 
Non si deve più ragionare per settori ma cercare, attraverso approcci integrati, di interpretare le esigenze del territorio adeguandole a quelle del mercato e viceversa. Secondo noi interventi efficaci consistono nel valorizzare volumi e spazi esistenti trasformandoli da ambienti a quasi esclusivo orientamento automobilistico in contesti più urbani e sostenibili.

L’esperienza americana in questo ha molto da insegnarci: i malls in mixed-use sono modelli da guardare con molta attenzione perché hanno colto il cambiamento in funzione dei bisogni della comunità, degli affari e dell’amministrazione. Ovvero ricostruiscono l’area in modo che generi profitto per gli operatori, realizzano obiettivi comunitari e contribuiscono al gettito fiscale locale. Ricreano ambienti attraenti in qualsiasi momento del giorno che aggiungono vita e colore al quartiere, di sera e nei weekend; luoghi piacevoli da visitare per una molteplicità di ragioni, il cui successo non dipende dal prevalere di una funzione sulle altre. Una mixed-use town center può creare una città a misura d’uomo e aiutare a contenere lo sviluppo non controllato
Un esempio è il Downtown Raising, un progetto che prevede la creazione di negozi, condomini, appartamenti ed uffici con aree pedonali e spazi d’intrattenimento che occuperanno il cuore di Salt Lake City. Una città a misura d’uomo, con aree pedonali multilivello.

Il parco commerciale oggi è senz’altro lo strumento più adatto e in crescita per coprire il bisogno di fornire più ancore d’attrazione. Ha un futuro perché: 

  • presenta costi minori di gestione 
  • riesce a rappresentare meglio i nuovi settori di vendita con spazi aperti  
  • integra le diverse ancore.  
  • garantisce soluzioni ottimali per il tempo libero con proposte innovative legate al ludico 
  • si caratterizzerà verso la tematicità dell’offerta.

Gli outlet nati originariamente per vendere stock di fine stagione si sono evoluti con produzioni a loro dedicate. Hanno intercettato i cambiamenti di comportamento del consumatore che non rinuncia alla qualità a un prezzo competitivo. L’outlet è una formula di business ormai matura che si sta declinando gradualmente verso altri settori merceologici.

I centri commerciali naturali stanno avendo un graduale, obbligato rinnovamento dell’offerta commerciale. Avranno futuro quelli che specializzeranno l’offerta su aspetti di carattere tematico e di fascia. Oggi hanno bisogno di ritrovare una chiara identità, quella che amo definire “INSEGNA DI VIA”. Via dei Condotti, via Monte Napoleone o Ponte Vecchio sono un esempio di insegna di via con una identità definita ‐ un vero e proprio parco commerciale nei temi del lusso e dell’artigianato orafo.

Ma ciò può diventare format da esportare alle strade con vocazione commerciale, costruendo comunicazione unitaria e lavorando sulla tematicità dell’offerta. Un modo questo che le rende evocative di un bisogno definito e complete di servizi collettivamente erogati per una permanenza semplice e piacevole. 
Il gruppo Coin ad esempio ha interpretato la nuova prossimità in modo innovativo, inserendosi nel contesto urbano con la creazione di spazi piacevolmente arredati e il pronto moda. Due aspetti questi ultimi che costituiscono una motivazione all’acquisto. Con l’insegna UPIM POP il gruppo Coin si è proposto sul mercato convertendo alcuni dei punti vendita esistenti in empori cittadini caratterizzati da un’offerta trasversale fatta di oggetti del consumo quotidiano e non. Una soluzione adeguata alle nuove esigenze del consumatore che vuole trovare nelle vicinanze un’offerta sempre più completa tipica del centro commerciale.

La prossimità è quindi vicina e conveniente: risponde all’esigenza di sentirsi rassicurati in momenti di incertezza come questi, dove il bisogno di contatto e di rasserenazione costituisce un fattore rilevante nel processo di acquisto oltre ad un controllo delle quantità e dello spreco.

La prossimità va letta anche come un’opportunità di sviluppo per il riposizionamento di un canale di vendita particolarmente significativo come quello dei mercati rionali. Pur rimanendo oggi parte integrante del patrimonio economico, sociale e culturale i mercati rionali sono in una situazione di declino dovuta alla crisi non solo economica ma anche del formato di vendita. Questa situazione di staticità dettata da un individualismo perdurante da una mancata capacità di interpretare il cambiamento, non ha permesso di adeguarsi alle nuove esigenze, lasciando il passo alla grande distribuzione che si è evoluta e affermata.

Roma, per esempio, ha una presenza di mercati molto forte: sono 126 e concentrati storicamente nelle aree centrali della città da cui deriva un posizionamento diverso da municipio a municipio. Nelle tre aree che vedete rappresentate i 33 mercati dell’area centrale hanno una presenza di 1 ogni km². Dato che come vedete si dirada fino alle aree periferiche dove la presenza è di 1 ogni 52 km². Il rapporto di abitanti serviti ovviamente si dirada anch’esso da 1 mercato ogni 10.600 persone sino a 1 mercato ogni 64.600 persone.

Questi dati ci devono far riflettere. Il posizionamento e la consistenza dei mercati sul territorio denotano grandi potenzialità di sviluppo, soprattutto nella città storica, ma che restano inespresse perché si scontrano con format di vendita ormai superati. Il problema è che i mercati rionali erano nati per rispondere alle esigenze di una società del bisogno, e si ritrovano ora, senza aggiornamenti e innovazioni, a dover fare i conti con una società postmoderna.

Immaginiamo il beneficio che si otterrebbe se i mercati rionali perdessero il forte connotato individualista e cominciassero a ragionare in termini comuni, attraverso una nuova cultura di marketing. Diverrebbero così una grande catena distributiva che si muove in modo coeso e unidirezionale riacquistando quell’identità e quella capacità di attrazione che avevano un tempo e negli ultimi anni hanno gradualmente perso.
Un’identità, quindi, che favorisca la tipicizzazione di ogni singolo mercato seguendo la sua vocazione verso il contesto territoriale di riferimento. 
Il non trovare una concreta via di rinnovamento porterà in futuro a situazioni di riassetto verso pubbliche utilità non più dipendenti dalle espressioni attuali.

Prendiamo il caso di Milano. In 26 mercati rionali è partito nel 2007 un riassetto che ha comportato la dismissione di quattro strutture e la riorganizzazione di dieci mercati con la partecipazione della grande distribuzione in accoglimento della bolkestein. Nei rimanenti 12 si cercherà il rilancio con project financing in modo tradizionale.

L’Amministrazione di Roma Capitale sta mettendo un grande impegno nel rilancio dei mercati rionali. Si è appena concluso il bando di idee per 57 project. E ciò rappresenta un importante segnale di ricerca e promozione per l’adeguamento e rinnovamento di questo canale di vendita. Per riuscire nell’impresa serve però il contributo fattivo e illuminato di tutti.

In ultimo vorrei soffermarmi un attimo sulle vendite dirette dei prodotti tipici del territorio, i farmer's market e le altre forme distributive con le diverse strategie di commercializzazione. Domani approfondiremo l’interpretazione del tipico con tutti gli attori della grande distribuzione, dell’industria di pregio, dei mercati rionali e della produzione. Trovate in cartella un’anticipazione, con una nostra analisi preliminare.

Mi auguro che il ruolo del commercio si evolva ‐ magari prendendo spunto dal passato. Il commercio oggi non va inteso come una mera mercificazione del prodotto ma deve riacquisire quel ruolo principe che ha permesso all’umanità di progredire e di svilupparsi. Il commercio in fondo è un’opera dell’arte e dell’ingegno, come un bellissimo quadro di Arcimboldo, o una splendida natura morta. Il commercio è il cesto di frutta di Caravaggio. Natura morta sì ma al tempo stesso sempre viva e vitale.

Vorrei infine che questo convegno offrisse un valido contributo al dibattito generale promuovendo una cultura improntata alla qualità alla tipicità nella prossimità.

Questo è Big&Small, ma non è il grande che supera il piccolo. È il più veloce che supera il più lento.

 

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