Gennaio 2017

Giampaolo Sodano_L'opinione

Oggi iI Made in Italy è percepito nel mondo dell’agroalimentare come un vero status symbol, in tutti i Paesi del mondo la cucina italiana è considerata “mangiare sano”. Non è certamente un caso che la nostra “dieta mediterranea” sia stata definita un patrimonio dell’umanità. Ma lo è in quanto cultura, uno stile di vita che ha nell’artigianalità l’espressione più autentica: l’artigiano secondo l’etimologia della parola (dal latino ars, arte) è l’artista una persona che elabora le materie prime in base a regole che appartengono alla tradizione e alla cultura del territorio in cui vive, interpreta quelle regole in base alla sua sensibilità, al suo estro, alla sua abilità personale, e giunge infine a un risultato che è il prodotto della sua creatività. Nella Firenze del 1200 le corporazioni in cui si riunivano gli artigiani erano ben ventuno nelle arti maggiori e quattordici in quelle minori. Caratteristica dalla corporazione era di avere regole precise di produzione che rappresentavano insieme un disciplinare di produzione e un codice etico. Nacquero così “gli artigiani del cibo”.

Lorenzo De’ Medici definiva gli artigiani “i fratelli dei grandi artisti”. Parlare di Artigiani del Cibo, oggi, non significa solo cercare di ricostruire una tradizione artigianale che rischia di andare perduta, ma anche realizzare una sintesi contemporanea dell’esperienza, dell’ingegno e del lavoro che hanno reso lo stile di vita italiano celebre in tutto il mondo. La recessione economica che ha investito il nostro Paese ha costituito la crisi più radicale, più strutturale, più antropologica cui abbiamo mai assistito. La crisi è stata ancora più grave dal diffondersi di un sentimento negativo sul nostro futuro che ci priva di ogni speranza, come se fossimo spettatori dell’alba di un tempo senza promesse e di un tramonto della “leggenda italiana”. Artigiani e piccole imprese sono quelle che meglio di altri sono riuscite a fronteggiare la crisi scommettendo sulla forza del Made in Italy: i fattori che lo hanno reso possibili sono stati il legame con il territorio, il rispetto dell’ambiente e, soprattutto, la garanzia della salute dei consumatori. Malgrado tutti gli sforzi fatti finora, per giungere alla tutela dell’autentico cibo italiano rimane però un vuoto da colmare: dalle materie prime si passa al prodotto finito senza alcun riguardo al processo di produzione e alla professionalità dell’artigiano. Quindi il nodo del problema è tutto nella possibilità di evitare quel salto e permettere ai consumatori di riconoscere il cibo artigianale prodotto nel rispetto delle regole di sempre, seppur integrate, anzi aiutate, dal progresso tecnologico.

Dobbiamo tutelare e valorizzare questo patrimonio, ma soprattutto sono necessarie norme utili a garantire una corretta informazione al consumatore e a diffondere una cultura gastronomica che riconosca il valore del cibo Made in Italy e, in questo conceto, la funzione essenziale degli artigiani del cibo per offrire al consumatore un prodotto sano, di origine certa, al giusto prezzo, ottenuto attraverso un processo di produzione trasparente.

È venuto il tempo del cambiamento, dell’innovazione. Dobbiamo rivendicare il valore del cibo, denunciare le mistificazioni, rivendicare una riforma radicale e profonda del mercato. Ma per cambiare dobbiamo voltare pagina: abbandonare antiche certezze, vecchie sigle, pratiche logorate dal tempo. Nei ristoranti, nei negozi, sugli scaffali dei supermercati il cittadino deve con facilità conoscere e riconoscere il prodotto degli artigiani del cibo. È necessario costruire un’alleanza tra produttori e distributori per dare ai consumatori la concreta possibilità di scegliere, un  mercato di specialità diverso e  distinto dal mercato commodity.

E gli artigiani del cibo devono mettersi al lavoro per costruire una nuova, originale organizzazione, articolata e decentrata sul territorio, autorevole e  rappresentativa, capace di coniugare i  diritti del consumatore con gli interessi dell’impresa. Un progetto che, per affermarsi ha bisogno di essere sostenuto da un movimento di opinione capace di rivendicare la qualità del cibo come un diritto alla salute e al piacere.

Sembrerebbe l’uovo di Colombo: qualità e garanzia dell’origine. E il gioco è fatto? “Il prodotto cattivo scaccia quello buono”, dice la legge di Gresham. E se questo è vero nel mondo finanziario lo è ancor di più in quello del consumo alimentare, dove la sopravvivenza di molti prodotti di qualità di più in quello del consumo alimentare, dove la sopravvivenza di molti prodotti di qualità è legata alla loro capacità di costruirsi una nicchia all’interno del mercato competitivo, correndo sempre il rischio di rimanerci intrappolati. Basta guardare un qualsiasi scaffale di supermercato e i fatturati delle piccole e medie imprese. C’è una sola alternativa: creare un mercato parallelo, diverso e distinto: il mercato delle specialità artigiane. Un mercato ricco di molteplici offerte perchè, rispetto alla dimensione industriale,  quella artigianale genera un ambiente formato da molti componenti. Ma l’idnetità dell’impresa artigiana del cibo, che oggi costituisce il tessuto produttivo agroalimentare Made in Italy, oltre ad avere un suo mercato di riferimento dev’essere riconosciuta dalla legislazione nazionale e comunitaria. In definitiva oltre alla qualità e all’origine del prodotti ci vuole, per le aziende artigiane, una legge e un mercato. È quindi necessario costruirne le premesse: bisogna partire dalla costituzione di un’identità unica, organizzata e dinamica.

 

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