ottobre 2011

Il prodotto tipico locale

Le dimensioni della filiera alimentare, la tipicizzazione e la regionalizzazione

 

Premessa

Questo report si propone di fornire un sintetico quadro di riferimento per avviare una serie di approfondimenti sulle problematiche che riguardano la valorizzazione dei prodotti tipici. L’attenzione al prodotto tipico locale sta diventando, anche in relazione allo svilupparsi della crisi economica, un fenomeno che caratterizza un trend particolare dei consumi. Il prodotto tipico ha assunto lo status di un must dell’organizzazione dell’offerta da parte del distributore, ma è anche un termine largamente diffuso sui media, nelle scuole, nei convegni (etc.).
Tutto questo perché il prodotto tipico si è sempre più arricchito di contenuti, coinvolgendo oltre la sfera del gusto, anche altri temi quali quelli della conservazione del territorio, della tutela dell’ambiente, della salvaguardia della cultura materiale, della riscoperta delle tradizioni gastronomiche (etc.).
L’obiettivo dell’analisi svolta è quello di raccogliere le diverse risposte fornite dagli attori della distribuzione, della produzione e degli altri soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nella filiera (territorio, organizzazioni, turismo...).

 

Una premessa sul tipico: di cosa stiamo parlando?

La definizione di prodotto tipico, nel linguaggio comune, comprende tanto un aggregato di prodotti quanto di significati; il tutto è riconducibile sia a sigle comunitarie (es DOP, IGP...), sia a specificità territoriali, sia all’idea di una qualità superiore piuttosto che ad una tradizione che si immagina - o è realmente - perduta. (Per restare a qualcosa di riconoscibile perché certificato si ricorda che solo il 18% degli italiani è a conoscenza del significato del marchio “DOP”).
A tale proposito è utile rilevare che nel settore del tipico vi è la presenza di più segmenti, che richiedono approcci diversi e che determinano problematiche differenti.
Un primo segmento è composto dalle produzioni DOP/ IGP, caratterizzate da grandi volumi di vendita (Parmigiano, Grana, Prosciutti...) e che rappresentano oltre il 65% del fatturato dell’intero comparto DOP/IGP; un secondo, invece, è definito dalle produzioni DOP/IGP che registrano fatturati poco significativi.
Un ultimo segmento, infine, è quello, generalmente presidiato da consorzi di tutela, caratterizzato dalle produzioni locali artigianali - evocative dell’idea del territorio, delle tradizioni scomparse.
Ciascuno di questi segmenti presenta caratteristiche molto diverse rispetto ai temi del rapporto di filiera e alle tematiche del marketing in store.
Parlare di prodotto tipico, senza tenere presente questa segmentazione, può portare a generalizzazioni di scarsa utilità interpretativa e a considerazioni fuorvianti.

 

Alcuni dati sul comparto

I prodotti certificati (Fonte: Istat - Settembre 2011)
Per quanto riguarda i prodotti certificati l’Italia è prima in Europa con 219 riconoscimenti ufficiali (25 in più rispetto al 2009) di cui:

  • 135 DOP
  • 78 IGP
  • 2 STG

Tali produzioni coinvolgono 84.587 operatori (3% in più rispetto al 2009) concentrati prevalentemente in Sardegna, Toscana e Trentino-Alto Adige (per una quota
del 52%) e collocati per il 46,5% in collina e per il 27,7% in montagna.

 

Il fatturato (Fonte: Ismea - Ottobre 2010)
Per quanto concerne i valori di mercato del comparto delle Dop e Igp, nel 2009 Ismea ha stimato un potenziale giro d’affari di 5,35 miliardi di euro alla produzione, mentre - prudenzialmente - ha restituito un valore di circa 9,42 miliardi di euro per il valore al consumo.

Lo stesso istituto di ricerca per quanto attiene l’evoluzione degli acquisti domestici dei prodotti Dop ed Igp ha riportato le seguenti variazioni:
I° sem.2010/ verso I° sem 2009: Totale Dop e Igp 0,1% di cui:

  • Formaggi Dop 2,3%
  • Carni trasf. Dop e Igp -6,4%
  • Frutta Dop e Igp -4,3%
  • Oli Dop e Igp -17,9%

In questo ambito l’Italia rafforza il proprio “primato” a livello comunitario seguita dalla Francia con 175 e dalla Spagna con 140.
Al di là delle graduatorie l’analisi dei dati evidenzia, tuttavia, la presenza di alcune contraddizioni e problematicità nell’ambito del comparto. Abbiamo infatti
una crescita importante dei riconoscimenti a cui però non corrisponde un’analoga crescita del fatturato.
Emerge inoltre qualche perplessità anche dal confronto tra numerica e ponderata del comparto analizzato, sotto l’aspetto della merceologia: negli ortofrutticoli il numero complessivo di denominazioni pesa sul totale per un 38%, ma il fatturato complessivo ha un’incidenza stimata del 4%. Per il settore dell’olio d’oliva, ad esempio, il numero complessivo di denominazioni incide sul totale per il 19%, mentre il fatturato complessivo ha un peso stimato del 2%.
Tale constatazione conferma che nonostante il grande numero di riconoscimenti, soltanto poche denominazioni sviluppano apprezzabili valori di mercato. La gran parte dei prodotti, al contrario, realizza fatturati estremamente limitati, spesso peraltro conseguiti a livello locale e per i quali può essere lecito chiedersi se ha senso intraprendere il complesso e oneroso iter di riconoscimento comunitario, visto che il trade-off costi/benefici ha un saldo economico discutibile.

Qualora considerassimo, oltre ai già citati prodotti DOP/ IGP, anche l’insieme delle tipicità e delle eccellenze agroalimentari italiane - da un’indagine effettuata nel 2002 a livello UE - raggiungeremmo le oltre 850 tipicità così distribuite:

  • 250 nel nord Italia
  • 246 nel centro Italia
  • oltre 350 nel centro sud e isole.

 

Il consumatore e il prodotto tipico

La valorizzazione del territorio, la genuinità, il rispetto delle tradizioni e dell’ambiente sono argomenti che, in seguito ad un pressing mediatico attuato in primis
dalle organizzazioni agricole, tendono a indirizzare sempre più il consumatore nelle sue strategie di spesa verso i prodotti tipici. Tuttavia per il consumatore la
consapevolezza di cosa sia il prodotto tipico è ancora approssimativa; nella sua mente il concetto di prodotto tipico ( l’idea ) è ancora qualcosa di non ben definito e intuitivo.
Localismo, territorio, gusto, sapori di una volta fanno parte del campo semantico del concetto di tipicità. È da sottolineare un trend in fase di affermazione in questi ultimi anni, ovvero quello del ricorso al prodotto tipico - nelle sue accezione più sfiziose - come oggetto di regalo. A tale proposito stanno avendo un discreto successo i cosiddetti “assemblatori di prodotti tipici”, ovvero quelle imprese che compongono bouquet di prodotti tipici e di qualità, selezionando i fornitori e proponendo tali confezioni via posta tradizionale e/o elettronica.
Si può quindi dire che esiste una propensione positiva da parte del consumatore all’acquisto e al consumo di prodotto tipico. Un’attitudine di spesa che è al momento sacrificata dalla crisi economica, che ha portato il consumatore a orientarsi verso acquisti meno onerosi e che escludono dal carrello - almeno in parte - il segmento dei tipici, notoriamente posizionati a livelli di prezzo più alti.
Pertanto, in questo momento, si confrontano due tendenze contrastanti, da un lato il desiderio del prodotto tipico e dall’altra la difficoltà di potervi accedere.

 

La distribuzione

Nonostante il discorso del tipico sia oggi molto di moda è utile ricordare che da tempo la GdO, nella propria offerta commerciale, ha dato ampio spazio al segmento, inizialmente promuovendo più il territorio che il prodotto.
Già nel 2006 si poteva osservare che, per quanto riguarda l’utilizzo degli spazi di vendita e l’attività promozionale, alcune catene si erano già mosse.
Alcuni esempi:

  • Coop Italia assegna ai prodotti tipici spazi inizialmente separati, poi convergenti. Tende a fornire banco assistito, cantina, prezzo “giusto” ai produttori. Ha un’intesa con Slow Food per i Presidi.
  • Conad assegna ai tipici in genere spazi comuni, talora esposizioni per suggerire abbinamenti.
  • Esselunga predispone “isole” e “bacheche” esclusive, soprattutto nelle “settimane regionali”.
  • Carrefour Italia non assegna spazi dedicati ai prodotti tipici. Si propone tuttavia di favorire lo “sviluppo durevole” dei produttori e di fornire ai consumatori “qualità e salubrità a prezzi accessibili”.

L’attenzione dei retailer al prodotto tipico e al rapporto con il territorio era giustificata dai seguenti motivi (in ordine di priorità):

  1. Immagine della catena
  2. Servizio al consumatore
  3. Differenziazione
  4. “di nicchia”
  5. Scelta Ideologica
  6. Possibilità di realizzare un margine superiore

Le stesse catene hanno poi provveduto a istruire una linea premium della propria Label, commercializzando così prodotti tipici e di qualità. Ricordiamo a tale proposito:

  1. Fior fiore per la Coop
  2. Sapori e dintorni per Conad
  3. Terre d’italia per Carrefour
  4. Scelto per Sigma
  5. Piaceri Italiani per CRAI
  6. Gusto & passione per SISA

Nel punto di vendita le soluzioni adottate per esibire il prodotto tipico sono le più diverse:

  • Nicchie per prodotto (es. vino)
  • Prodotto inserito nella categoria (pasta con pasta, olio con olio, formaggi con formaggi...)
  • Prodotto aggregato per territorio (la calabria, la toscana...)
  • Prodotto aggregato per eccellenza (es: la boutique dei sapori...)

Tuttavia l’impressione che si ha leggendo gli scaffali della GdO è che il prodotto tipico non sia immediatamente rintracciabile.

 

I consorzi di tutela

I consorzi di tutela, nati originariamente per difendere le grandi produzioni, nel tempo sono aumentati a dismisura frammentando l’offerta in tanti presidi di piccole/piccolissime dimensioni. Tale sviluppo, cresciuto per tutelare il binomio prodotto/territorio, ha portato a una proliferazione di marchi di scarsa riconoscibilità agli occhi del consumatore, con conseguente dubbia efficacia di marketing.
La promozione di piccole realtà territoriali su prodotti appartenenti alla stessa categoria (es. olio) sacrifica la potenziale vendibilità del prodotto.
È pur vero che si rintracciano alcuni sporadici casi di consorzi che nel tempo sono riusciti a definire un sistema strutturato, idoneo ad affrontare le sfide dei mercati interni riuscendo anche - in qualche rara situazione - a travalicare i confini nazionali.

 

I nuovi entranti

Negli anni più recenti sono entrati nel “mercato“ nuovi attori e a diverso titolo:

  • le organizzazioni agricole dei produttori, protagoniste molto importanti nel portare il tipico al centro dell’attenzione del consumatore, coniugandoli con il tema delle vendite dirette e del Km zero;
  • attraverso farmer’s market, vendite in cascina e altre forme di filiera corta;
  • le regioni e le camere di commercio, in quanto istituzioni, dal canto loro hanno svolto e stanno svolgendo un ruolo molto attivo nel promuovere prodotti e forme di collaborazione del settore primario con la GdO e la distribuzione in generale. Tutto questo attraverso finanziamenti diretti e agevolazioni rivolte direttamente al produttore, volte a favorire iniziative congiunte tra distribuzione e produzione;

A tale proposito vogliamo ricordare alcuni recenti iniziative di valorizzazione del prodotto tipico che vedono coinvolti gli attori citati:

  • Aprile 2011 la Coldiretti avvia il progetto della “Vendita Diretta Organizzata” realizzando il suo primo punto di vendita sperimentale;
  • Aprile 2011 a Bologna, la Confagricoltura ha inaugurato il farmer’s market con l’insegna "il mercato delle cose buone";
  • Marzo 2011 in Emilia-Romagna, la Fedagri, Confcooperative Emilia-Romagna e Sigma avviano “I Frutti della Cooperazione” ;
  • Gennaio 2010: lancio dell’iniziativa “Qui da noi” da parte di Fedagri-Confcooperative;
  • Marzo 2010 a Ponte di Piave (TV), nell’agenzia locale del Consorzio Agrario apre,su iniziativa di Coldiretti, Consorzi Agrari e Regione Veneto il “Punto vendita di Campagna Amica”, il primo supermercato degli agricoltori;
  • 2010: catena di prodotti freschi "la Meridiana" in provincia di Ferrara ospita all’interno dell’iper un banco carni e salumi forniti e serviti direttamente dal produttore;
  • 2010: COOPAdriatica lancia "ci metto la faccia", un’iniziativa di vendita diretta di ortaggi, svolta direttamente dai produttori;
  • 2010: COOPEstense lancia un piano di promozione nazionale con il marchio "prodotti di puglia".

 

Le certificazioni, la fragilità delle filiere, i consorzi e la Gdo

Il punto di vista degli attori della filiera
Nota metodologica
Il focus è stato sviluppato partendo da interviste realizzate con i principali attori delle filiere e dalle quali sono emerse tematiche di forte interesse per comprendere lo stato attuale del settore e le prospettive future che lo attendono. Dalle interviste sono emerse problematiche rilevanti, che sono state sintetizzate nei seguenti temi:

  • Le certificazioni
  • La fragilità delle filiere
  • Ruolo GdO e prodotto tipico (la private label)
  • Ruolo consorzi e piccoli produttori
  • Evoluzione ed estensione del concetto di tipico

Le certificazioni
C’è una diffusa convinzione che il numero elevato di DOP e IGP non sia di per sé un fatto positivo, sia per la distribuzione che per la produzione; ciò significa che c’è da attendersi, dopo una fase di grande attenzione e di una politica espansiva dell’assortimento, una fase di razionalizzazione quali-quantitativa.
La pesantezza della crisi economica sicuramente accelererà questo processo. Difatti oggi sono presenti sul mercato tante DOP che, sulla base dei risultati di vendita, non portano valore commerciale al prodotto e per le quali il costo di produzione è molto spesso superiore al beneficio ottenuto. Un saldo, quindi, costi-benefici difficilmente sostenibile nel medio lungo periodo quando vengono meno le condizioni iniziali di supporto “pubblico”. Si ricorda, a tal proposito, che nel corso di questi anni lo sviluppo del prodotto tipico è stato sostenuto da progetti al cui finanziamento hanno partecipato, in modo sostanziale, istituzioni, enti pubblici e privati, nazionali ed europee.
Le DOP, legate a prodotti caratterizzati da piccoli volumi (la maggior parte dei prodotti in questione) e a bassa notorietà, non sempre riescono a fare crescere le vendite. Molte DOP che operano sullo stesso prodotto (vedi il caso dell’Olio Ex) creano, a seguito dell’affollamento sugli scaffali, confusione nel consumatore e difficoltà allo stesso distributore in un contesto di cannibalizzazione.
Dev’essere ricordato, inoltre, come la funzione istituzionale della DOP è quella di difendere i prodotti dalle contraffazioni. Questo è un fenomeno legato soprattutto ai mercati internazionali per quanto riguarda i prodotti di grandi volumi e a cui corrisponde una grande notorietà (vedi il caso del caso prosciutto, del parmigiano...).
Si rileva a tal proposito che, al netto dei casi caratterizzati dal mix grandi volumi/notorietà (relativo a poche produzioni), l’applicazione della DOP/IGP - nei casi restanti - appare difficilmente giustificabile da un punto di vista strettamente commerciale di prodotto.
Il tema centrale attorno al quale ruota l’utilità o meno delle DOP è, pertanto, quello della contraffazione e non della valorizzazione commerciale.
In ogni caso, per l’adozione o meno della DOP, si dovrà tener presente che il prodotto tipico è spesso coinvolto in politiche e azioni per la valorizzazione del territorio.
Gli intervistati in generale, hanno manifestato l’attuale inadeguatezza circa l’impostazione del merchandising del prodotto tipico - che non ha una propria personalizzazione - oggi trattato in scaffale alla stregua degli altri prodotti.

 

La fragilità delle filiere
Altro aspetto fondamentale riguarda la fragilità delle filiere dei prodotti tipici, che è stata analizzata seguendo una logica di ampiezza del volume d’affari.

  • Produzioni di grandi volumi: frammentazione della produzione e disorganizzazione dell’offerta che spesso si traduce in un debole rapporto negoziale con la distribuzione moderna (riscontrata nella scarsa disponibilità dei produttori ad azioni commerciali aggregate);
  • Produzioni di piccoli volumi la difficoltà a rapportarsi con i mercati: a tal proposito la GDO in alcuni casi ha svolto un ruolo attivo nell’organizzazione di piccole filiere ponendosi come partner che contribuisce a risolvere i problemi pratici (logistica, promozione...), realizzando in tal modo una sorta di filiera corta.

Tali iniziative, in cui il ruolo della GdO è stato quello di “mentore del progetto”, in alcuni casi, hanno fatto emergere difficoltà di carattere gestionale e di aggravio di costi al punto che l’iniziale interesse al progetto di carattere di marketing e i relativi benefici sono stati oscurati dall’emergenza del peso di costi organizzativi non giustificabili nel lungo periodo.
Dal punto di vista della GdO, queste esperienze dimostrano che solo a fronte di una significativa massa critica di movimentazione dei prodotti è possibile superare la soglia dell’episodicità delle iniziative e, quindi, garantirne la tenuta.

 

I consorzi e i piccoli produttori
Come è possibile superare questa difficoltà e sostenere commercialmente il prodotto anche nel caso di piccole produzioni e giungere a soluzioni permanenti e strutturali? Attualmente i consorzi svolgono una funzione di tutela, “guardiani della qualità” al cancello di uscita del prodotto. Questo, evidentemente, non è sufficiente per la valorizzazione commerciale del prodotto al trade e al consumatore: al trade perché spesso è il singolo produttore che tratta con il compratore, al consumer perché non esiste un’adeguata comunicazione.
Infatti, una volta uscito dal “cancello“, nella maggior parte dei casi la vita commerciale del prodotto è gestita da soggetti a valle del consorzio. Ne consegue che chi decide di una parte significativa del valore del prodotto non è il produttore, lasciato in condizioni di inferiorità contrattuali nei confronti della GdO. In quest’ottica, per portare valore all’interno dell’anello della produzione, una possibile evoluzione dei consorzi potrebbe essere quella di promuovere architetture di sostegno finanziario al prodotto e al mercato. Questo permetterebbe di portare la debolezza finanziaria del singolo soggetto a monte e di farsi promotori di servizi alla filiera per l’abbattimento dei costi.
Sembra mancare, in definitiva, un’adeguata cinghia di trasmissione tra produzione e mercato che consenta di valorizzare al meglio il prodotto.
Quindi, sono molte le situazioni e le sollecitazioni a ripensare (o pensare) le strategie da parte di tutti gli attori della filiera (produzione, trasformazione, distribuzione) sul prodotto DOP. Tante quanti sono i prodotti per i quali - come visto - vale la pena di attivare un percorso DOP.
Tuttavia, in questi percorsi vengono identificate molto spesso delle difficoltà, in quanto il piccolo produttore manifesta scarsa propensione a farsi coinvolgere in azioni promozionali collettive e di aggregazione. Questo  - si sottolinea - fa parte del DNA del piccolo produttore. Il rapporto del produttore con il proprio marchio è tale per cui l’accesso al proprio prodotto avviene esclusivamente tramite un’unica via: il marchio.

 

La GdO e i prodoti tipici
Le principali catene distributive da alcuni anni hanno adottato la private label anche sui prodotti tipici e, quindi, questi sono sempre presenti nel pdv.
La nascita di una private label ad hoc è dovuta ad una complessiva esigenza di “fare politica” sul prodotto tipico per i seguenti motivi:

  • esistenza di un gap assortimentale della catena
  • attenzione alle nuove esigenze del consumatore
  • intenzione di valorizzazione delle PMI del territorio, per rafforzare il legame con il territorio stesso.

Infatti, i contenuti di cui la private label vuole essere portatore e che esplicita in comunicazione sono:

  • valorizzazione della tradizione gastronomica del territorio
  • valorizzazione dell'esperienza artigianale affinata nel tempo
  • espressione di autenticità e di identità alimentare
  • garanzia dell’origine.

Valori che fino ad ora hanno motivato lo sviluppo e l’affermazione del prodotto.
La private label della GDO sulle DOP/IGP è stata sviluppata nei seguenti settori merceologici:

  • Formaggi & Salumi
  • Oli, condimenti e conserve
  • Pasta e riso
  • Pane e sostitutivi
  • Pasticceria e dolciario
  • Miele e confetture
  • Vini e liquori 

Inoltre, alcune catene hanno realizzato e realizzano iniziative con rapporti diretti tra le DOP e/o cooperative di produzione nel settore ortofrutticolo.
Questi sono casi dove il prodotto tipico può essere trattato ad elevati volumi pur nello stretto legame con il territorio. Ciò mette in rilievo come la GdO abbia operato e operi con due leve di politica commerciale sul tipico: private label sul lavorato e trasformato e iniziative di filiera corta sul settore ortofrutticolo.

 

Evoluzione ed estensione del concetto e potenzialità del prodotto tipico
Le produzioni tipiche sono anche riconosciute come elementi di differenziazione e di qualificazione di interi territori, diventandone una delle risorse e il vero fattore d’attrazione turistica rilevante in termini di “destination management”.
In questi anni è cresciuta l’importanza di portare il cliente a consumare nel territorio in cui avviene la produzione. Enti, istituzioni, associazioni, hanno da tempo cominciato a confezionare iniziative non solo sul prodotto, ma proprio sulla combinazione prodotto-territorio (storia, cultura...).
Si favorisce e sviluppa in tal modo il turismo culturale ed enogastronomico; queste iniziative hanno trainato l’offerta dei singoli produttori di prodotti tipici (prodotti enogastronomici, ristorazione tipica, ricettività, musei, spettacoli e cultura locale, ecc.) consentendo agli stessi produttori, forme di integrazione del reddito in alcuni casi molto significative.
A questo proposito vale la pena ricordare il ruolo del fenomeno delle vendite dirette come canale di vendita del prodotto tipico. In questo caso, infatti, la prima categoria del venduto è costituita dal prodotto tipico - si pensi all’ormai arcinoto prodotto a kilometro zero.
Il riconoscimento dell’affermarsi di questo fenomeno è dato dal fatto che di frequente si stanno sviluppando iniziative in-store incentrate su prodotti a kilometro zero, per incentivare le vendite dei produttori stessi e dargli una maggiore visibilità.

 

Mutamenti di scenario: l’aggravarsi della crisi
La pesantezza della crisi per il mondo del tipico potrebbe costituire un momento di discontinuità, come rilevato nelle ultime interviste.
Infatti, la crisi in corso - a cui si accompagnano le difficoltà generate dall’andamento dei mercati finanziari e le conseguenti manovre operate per la riduzione del debito pubblico- sta creando ulteriori difficoltà alle famiglie italiane.
L’attuale recessione ha ripercussioni su tutte le aree del consumo e anche su quella del legate all’alimentazione. Una domanda solitamente anelastica rispetto a variazioni congiunturali si trova investita da cambiamenti importanti. L’ipotesi che tali cambiamenti non siano solo adattamenti momentanei, ma si presentino come un vero e proprio punto di svolta viene ricondotta ai seguenti elementi:

  • consapevolezza della necessità di ridurre gli sprechi e di trasformarli in atti di solidarietà – quindi un’affermarsi del senso della misura;
  • sperimentazione e verifica che “qualità” non sempre vuol dire prezzo alto e quindi rilettura del rapporto prezzo /qualità come guida all’acquisto;
  • affrancamento dalla tradizionale soggezione alla marca;
  • crescita della sensibilità alla sicurezza alimentare, alla provenienza dei prodotti, alla valorizzazione del territorio come incubatore di qualità alimentari;
  • ricerca di informazioni sul prodotto e sul produttore attraverso una comunicazione informativa semplice e chiara.

Il consumatore quindi, non come scelta rifugio ma con una diversa consapevolezza e maturità, si trova a seguire strategie della spesa e dei consumi di “down-grading” ovvero comportamenti caratterizzati da:

  • scivolamento nell’acquisto verso il basso della scala prezzi;
  • spostamento dei consumi da prodotti ad alto prezzo a prodotti a prezzo più basso (es. mortadella vs prosciutto, carni bianche vs carni rosse, grana padana vs parmigiano);
  • minore fedeltà alla marca e maggior propensione alla marca del distributore;
  • nomadismo nella scelta delle insegne;
  • scelta di confezioni più piccole.

In sintesi ricerca di:

  • canali e insegne più convenienti
  • prodotti meno dispendiosi
  • occasioni di acquisto più propizie.

In questa situazione di down-grading in termini di slittamento nella scala prezzi, si rende più problematica la vendibilità del prodotto tipico che, pure come visto, incontra alcuni valori positivi che guidano i comportamenti di spesa e di consumo.

 

Prospettive prodotto tipico
È ormai consolidata l’ipotesi di una crisi strutturale di medio-lungo periodo. Il conseguente down-grading sarà il driver dei modelli di consumo e, anche, fattore di razionalizzazione del tipico e delle relative filiere.
Come effetto del down-grading parte dei consumi si sposterà verso la parte bassa della scala prezzi. Nei canali storici - GDO e negozi di tipicità - il prodotto tipico dovrà confrontarsi, stante il suo livello di prezzo, in modo diretto sullo scaffale con gli altri prodotti della categoria. Esistono, tuttavia, nuovi canali che offrono interessanti opportunità al tipico, soprattutto svincolandolo dalla tirannia del confronto sui prezzi.
A tal proposito viene segnalata la recente evoluzione della sua commercializzazione nell’importante canale della ristorazione commerciale nelle sue diverse tipologie, ovvero la ristorazione alberghiera, la ristorazione tipica, la ristorazione veloce e la ristorazione viaggiante.
La ristorazione va quindi assumendo un ruolo sempre più importante non soltanto per la quota considerevole di consumi alimentari che riesce ad attrarre, ma anche per la capacità che è in grado di esprimere sia in termini di promozione che di tutela dei valori e delle tradizioni del territorio.
La ristorazione tipica, fatta da ristoranti tradizionali, ristoranti a tema, trattorie, osterie, ristoranti gourmet, agriturismi, ha recentemente cominciato a comunicare l’utilizzo nei propri menù di prodotti del luogo, DOP e non, dimostrando in tal modo la propria sensibilità ai problemi del territorio, dell’agricoltura, dell’ambiente.
Tale canale, pertanto, presenta una grande potenzialità soprattutto potendosi realizzare in questi casi una catena del valore a maggior favore del produttore. Inoltre, questo canale potrà svolgere un ruolo innovativo nella filiera come testimonianza e cinghia di trasmissione tra prodotto, produttore e territorio; ruolo che, con la stessa efficacia, non può essere svolto dalla GdO per molti prodotti.
Attualmente si possono indicare come mercati molto promettenti anche la ristorazione alberghiera ed il fast food, per i quali esistono già esperienze significative.
Anche in questo caso è comunque importante che l’offerta sia adeguatamente organizzata e trainata da progetti a sostegno di menù ad elevato contenuto di
tipico ed adeguatamente ed efficacemente comunicata al consumatore/clientela.
La ristorazione – nelle sue diverse forme – trovandosi di fronte ad un fenomeno affrontato ad oggi in modo estemporaneo dovrà cimentarsi con nuove strategie di comunicazione al consumatore circa le caratteristiche delle materie prime utilizzate e delle relative modalità di manipolazione.
Dagli intervistati sono stati citati come sbocco al fuori del circuito della Gdo, i casi Mac Donald (ristrorazione) e Autogrill (ristorazione e distribuzione) in cui il prodotto tipico viene comunicato come materia prima lavorata all’interno del menù.
McDonald’s, dopo aver messo negli hamburger il parmigiano reggiano o lo speck altoatesino, ha lanciato una linea ‘McItaly’ dove si promuovono le diverse eccellenze dell’agroalimentare nazionale.
Autostrade per l’Italia, nel proprio ambito, dispone di una distribuzione e ristorazione multicanale. Da anni persegue politiche di valorizzazione del tipico e territorio in tutta la rete, sia di punti vendita che ristoranti, al punto che la crescente importanza del tipico ha fatto sì che nella ristorazione sia nata una nuova figura professionale ovvero il “tecnico superiore per la ristorazione e valorizzazione dei prodotti territoriali e produzioni tipiche”.

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